Information Ratio e volatilità, relazione solo apparente

Come più volte illustrato, l’Information Ratio si colloca nel gruppo delle misure di performance corrette per il rischio (le cosiddette RAPM). Tuttavia, se a livello teorico tale parametro può essere spiegato agevolmente definendolo come il rapporto fra l’extrarendimento del portafoglio rispetto al benchmark (Tracking Error) e la volatilità di tale differenza (Tracking Error Volatility), dal punto di vista operativo il suo utilizzo nell’ambito della gestione di portafoglio risulta meno immediato.

Valori elevati dell’Information Ratio esprimono la capacità dei gestori di conseguire rendimenti maggiori rispetto a quelli dell’indice di riferimento e al contempo riuscire a contenere il livello di volatilità di tale extrarendimento. Una accurata selezione di strumenti che assicurino performance elevate senza dubbio può permettere di realizzare l’obiettivo di massimizzare la Tracking Error, ovvero il numeratore. Più complicato invece è manipolarne la volatilità per minimizzare il denominatore.

La TEV può facilmente trarre in inganno a livello di interpretazione, ove intuitivamente sia collegata alla volatilità dei titoli, spingendo a prediligere quelli che ne presentano una più bassa. Per questo motivo è importante tenerne presente e comprenderne a fondo la natura, che non fa riferimento alla differenza delle volatilità bensì alla volatilità delle differenze. Per mantenere bassa quest’ultima è infatti necessario perseguire un’elevata correlazione con l’andamento del benchmark, indipendentemente dalla volatilità assoluta che il portafoglio può assumere.

Alcuni esempi numerici possono aiutare ad analizzare più a fondo questi rapporti e dimostrare come l’Information Ratio possa variare da un portafoglio ad un altro senza essere influenzato dai differenti livelli di volatilità. Abbiamo esaminato due casi: il primo mostra una volatilità annualizzata molto bassa (5.39%) ma, a causa della scarsa correlazione con il benchmark, la TEV quasi doppia rispetto al numeratore, e l’IR contenuto (0.56). Il secondo esempio, parimenti didattico, è costruito ad hoc per evidenziare le peculiarità dell’IR. A fronte di un numeratore praticamente identico a quello del precedente, il livello di volatilità del portafoglio è decisamente più elevato. Nel periodo considerato il portafoglio è però riuscito a replicare con relativa precisione l’andamento dell’indice di riferimento, anch’esso piuttosto volatile nel nostro esempio, generando un valore dell’IR superiore a 3 e quindi di gran lunga preferibile al primo modello esaminato.

Due portafogli con uguale volatilità dei rendimenti e uguale performance potrebbero dunque avere valori di IR molto distanti tra loro, spiegabili, come mostrato, dalla correlazione. Da queste simulazioni, che facilitano la comprensione della metodologia di calcolo dell’Information Ratio, si desume chiaramente il trade off tra i due obiettivi concorrenti, l’extrarendimento ed il “costo” sostenuto per ottenerlo in termini di allontanamento dal benchmark.

Ecco un file Excel con i modelli di calcolo.

Alberto Cecchi

Centro Studi FIDA